Lo Spirito di Averroè - 2

Lo Spirito di Averroè – 2

Questo movimento viene trasmesso, attraverso quelle sostanze immateriali che sono le intelligenze motrici, ai vari cieli, da quello delle stelle fisse (” la pelle del mondo”) ai pianeti sino alla Luna, e, poichè ogni cielo é mosso eternamente dalla sua intelligenza motrice, il mondo nel suo complesso é eterno. Un secondo punto sul quale al-Gazali attaccava i filosofi era la loro negazione del fatto che Dio conoscesse i particolari. Anche in risposta a questa accusa Averroè si richiama a tesi aristoteliche, in particolare, egli condivide con Aristotele la tesi che le sostanze vere e proprie sono le realtà individuali, in opposizione ad Avicenna,per il quale il mondo é una struttura gerarchica di essenze, alle quali, in virtù dell’essere necessario, é conferita esistenza. Per Averroè, gli universali non sono un mondo di essenze separate, come sosteneva la tradizioneplatonica, ma soltanto il risultato di un’operazione di astrazione di ciò che é comune a sostanze individuali. In realtà, la scienza di Dio é diversa e superiore a quella degli uomini, in quanto Dio conoscendo se stesso, conosce anche tutte le cose, dal momento che ne é la causa prima, da cui tutte dipendono. Ciò, però, non significa che egli conosca o debba conoscere le cose individuali e accidentali, in quanto conoscere le cose individuali nella loro accidentalità é solo un modo imperfetto di conoscere. La conoscenza perfetta di Dio riguarda, invece, ciò che é necessario ed immutabile; con la sua conoscenza del mondo Dio é al tempo stesso causa del mondo e, poichè l’oggetto di essa é il necessario, il mondo che dipende da essa é un ordine necessario. La conseguenza é che la provvidenza divina non riguarda le cose individuali e gli eventi accidentali, che non rientrano nell’ordine necessario del tutto, e si spiega l’esistenza del male nel mondo e il margine di libertà concesso all’uomo. In quanto inserito nell’ordine necessario del mondo, tuttavia, anche l’agire umano é predestinato, in conformità a quanto insegna il Corano. Il terzo capo d’accusa di al-Gazali riguardava l’immortalità dell’ anima. Per affrontare questo problema, Averroè riprende anch’egli, come i suoi predecessori, la teoria aristotelica dell’ intelletto, contenuta nel “De anima”.

Egli ritiene che l’intelletto, la funzione più alta dell’anima, in quanto incorporeo, sia immortale e che, quando sarà separato definitivamente dal corpo, esso potrà attingere direttamente gli intelligibili, ossia gli universali, che sono gli oggetti veri e propri della conoscenza intellettiva. Ma di quale intelletto si tratta? Aristotele aveva riconosciuto nella materia il principium individuationis, dunque, un intelletto separato dal corpo e , quindi , dalla materia non può essere individuale , ma universale. Si tratta del nouV poihtikoV (intelletto attivo o produttivo): io ho intelletto in potenza e con le esperienze sensibili diventa intelletto in atto, ma ci deve essere qualcosa in atto che consenta il passaggio: ecco allora che interviene il nouV poihtikoV (che compare una volta sola in tutte le opere di Aristotele), quel qualcosa che essendo già in atto (ha cioè già in atto tutte le forme) mi consente il passaggio; che cosa sia il nouV poihtikoV Aristotele lo dice solo di sfuggita, asserendo che è qualcosa che sopravviene dall’esterno ed è incorruttibile. Da questo breve passaggio del “De anima” si discuterà per migliaia di anni, riempiendo intere biblioteche (da Alessandro di Afrodisia a Simplicio, da Filopone ad Averroè a Pomponazzi). Le possibilità sono diverse: 1) il nouV poihtikoV é una parte dell’anima umana, ma se è parte dell’anima umana, sembra che ci sia un pezzetto di anima umana immortale, che già quando nasciamo ha tutte le forme . 2) Tale nouV poihtikoV è uno solo, esterno all’anima: a questo punto si tratterebbe allora di una divinità. Ma si tratta forse del Dio di cui Aristotele parla come “pensiero di pensiero” nel libro XII della “Metafisica”? Se così fosse, cadremmo di nuovo in contraddizione, perchè il Dio della “Metafisica” pensava solo a se stesso, mentre il nouV poihtikoV no, aiuta gli uomini a pensare, ed è perciò provvidenziale.

Averroè dirà che il nouV poihtikoV si identifica con la divinità: è unico e separato. Accettata quest’ ipotesi viene comunque negata l’immortalità dell’anima : il nouV poihtikoV è qualcosa al di fuori dell’uomo. Averroè diceva a tal proposito che “chi pensa è immortale , chi non pensa muore”: se pensando si partecipa dell’attività del nouV poihtikoV, si partecipa allora all’immortalità che gli è propria: si ha una forma di immortalità; é un immortalità “aristocratica”, riservata ai pochi che sanno usare il cervello. Tale intelletto , anche per Averroè , come per vari suoi predecessori , é unico per tutti gli uomini , ingenerabile e incorruttibile . Nuova é invece la tesi che l’intelletto materiale o potenziale é unico, non solo l’intelletto attivo o agente (il nouV poihtikoV). Anche l’intelletto materiale, quindi, non coincide con l’anima umana individuale, poichè esso può cogliere gli intelligibili solo grazie all’illuminazione che gli proviene dall’intelletto attivo. Quando avviene la connessione tra intelletto agente e intelletto materiale, si ha l’intelletto acquisito. Averroè intende quindi sostenere che se per ogni individuo ci fosse un intelletto materiale, esso sarebbe legato alla corporeità e alla materia , in quanto questa é principium individuationis. Ma dal momento che gli oggetti della conoscenza intellettuale sono le forme intelligibili, le quali sono universali ed eterne, queste non sarebbero più tali se dovessero seguire il destino dell’anima individuale, proprio perchè sarebbero diverse per ciascun individuo e, inoltre, potrebbero sussistere così come potrebbero non sussistere. Alla tesi dell’unicità dell’intelletto materiale si potrebbe obiettare che se un individuo coglie un intelligibile, allora esso é necessariamente colto anche da tutti gli altri individui. A questo argomento Averroè risponde che l’intelletto passivo é una semplice disposizione a ricevere immagini, la quale é legata al corpo e quindi varia da individuo a individuo. In ogni individuo, quindi, l’intelligibile viene a connettersi con immagini che non sono identiche a quelle degli altri individui, anche se l’intelletto materiale é comune ad entrambi; d’altra parte, se l’intelligibile fosse diverso per ciascun individuo, non sarebbe neppure impossibile insegnare nulla a nessuno. I principi universali sono pertanto unici in rapporto all’intelletto che li riceve, ma sono molteplici in rapporto alle forme immaginative da cui sono ricavati per astrazione; tali forme, infatti, sono molteplici come gli individui. Per via razionale si arriva, dunque, a concludere che l’intelletto é uno e che l’immortalità é prerogativa di esso; infatti, l’anima propriamente individuale é quella vegetativa e sensitiva, che é appunto forma del corpo, mentre l’intelletto, sia materiale sia agente, ha la prerogativa di essere separato. In quanto connessa al corpo, l’anima individuale perisce dunque con esso; immortale é invece l’intelletto , che é unico: sia quello agente, che é divino, sia quello materiale, proprio dell’intera specie umana e nel quale si accumulano le conoscenze acquisite dall’umanità. La scienza presente in ciascun individuo perisce con l’individuo stesso , ma non perisce la scienza che é nell’intelletto. La specie umana e la scienza sono pertanto eterne come sono eterni il mondo e Dio, da cui tutto dipende. Averroè, tuttavia, non esclude – anche sulla scia del Corano – qualche forma di immortalità individuale. Con Averroè la penetrazione della filosofia greca nel mondo islamico raggiunge il suo culmine, ma in esso questa posizione rimarrà marginale e non avrà mai realmente seguito: anzi, l’Islam condannerà le tesi di Averroè, le quali riscuoteranno invece grande successo nel mondo latino. Con Averroè la ragione raggiunge l’apice nel mondo arabo, ma dopo tale grande successo si eclissa, sotto il peso di una religione soffocante e avversa al libero pensiero quale è quella islamica. In Occidente, invece, dopo i secoli bui del Medioevo e del prepotente dominio del Cristianesimo la fede si stacca dalla ragione e ciascuna diventa autonoma.